In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”».
Parabola della “apparente ingiustizia” di Dio, questa raccontataci da Matteo con pochissime pennellate. Il padrone distribuisce a suo piacimento il denaro, prima di partire per un lungo viaggio. E forse, fra i servi, ci saranno stati confronti, mormorii, disapprovazioni. Ma poi, mettendosi davanti questo denaro, quelli che avevano avuto di più avranno pensato che maggiore doveva essere il loro impegno nell’amministrarlo, superiore il rischio nell’investirlo. E si sono messi all’opera. L’ultimo, magari dopo essersi lamentato in cuor suo di aver ricevuto di meno, e mosso più dalla paura che dalla fiducia del suo padrone, che comunque glielo aveva affidato, se lo era tenuto per sé. Anzi l’aveva nascosto per bene. Al ritorno, Dio sorprende i servi: non vuole indietro i talenti affidati, raddoppia la posta, la moltiplica: «Sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto». Non si tratta di una restituzione, ma di un rilancio. Noi non esistiamo per restituire a Dio i suoi doni. Questa immagine, dettata dalla nostra paura, immiserisce Dio. Noi viviamo per essere come Lui, a nostra volta donatori: di pace, libertà, giustizia, gioia. Il mondo e la vita ci sono affidati come un dono che deve crescere, un giardino incompiuto che deve fiorire. Dopo la lunga assenza di Dio e la sua longanime fiducia in noi, il giudizio non sarà sulla quantità del guadagno, ma sulla qualità del servizio; non sul numero, ma sulla verità dei frutti (fedele nel poco).
Nessuno è senza talenti. Ogni creatura che incontriamo è un talento, da custodire e lavorare per fare ricca la vita. Ognuno è talento di Dio per gli altri. “Giocarsi” la vita, buttarsi nella meravigliosa impresa del servizio è quanto chiede il Signore a ciascuno di noi: Lui saprà “moltiplicare” in frutti l’affidamento di queste risorse. Al contrario, stringere egoisticamente il pugno per trattenere il dono senza “trafficarlo” non lo conserva, ma lo rende sterile. Nella logica del Regno, condividere è generare risorse (lo si vede anche nella moltiplicazione dei pani e dei pesci), conservare è perdere irrimediabilmente.
E così, alla fine, l’apparente ingiustizia si fa somma giustizia, perché non conta da “quanto” denaro si è partiti, ma da come lo si è amministrato; la “gioia” del Signore è il premio, uguale per tutti i suoi servi fedeli.
Osservo e sottolineo gli elementi le parole che mi appaiono più dense di significato, i personaggi, i movimenti, i luoghi, i titoli dati a Gesù… Ne colgo il significato o le difficoltà per noi.
La parabola dei talenti spiega come procurarsi l’olio delle vergini che sono in attesa dello sposo: bisogna procurarselo trafficando i talenti. E l’ultima domenica dell’anno liturgico scopriremo come: dandoli ai poveri. Quindi non è ciò che hai che conta, ma ciò che dai. Esattamente il contrario della logica del mondo di oggi. Il talento non è ciò che hai, è ciò che hai dato ai poveri. Ciò che hai investito.
Quando arriva il momento del rendiconto si accumulano sorprese. La prima: colui che consegna dieci talenti non è più bravo di chi ne consegna solo quattro. Non c'è una tirannia o un capitalismo della quantità, perché le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Occorre solo sincerità del cuore e fedeltà a se stessi, per dare alla vita il meglio di ciò che possiamo dare. La seconda sorpresa: Dio non è un padrone esigente che rivuole indietro i suoi talenti con gli interessi. La somma rimane ai servitori, anzi è raddoppiata: sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto.
I servi vanno per restituire, e Dio rilancia. Questo accrescimento di vita è il Vangelo, questa spirale d'amore crescente è l'energia di Dio incarnata in tutto ciò che vive.
Riprendo il testo e cerco di cogliere quale parola il Signore dice a me, al mio cammino di fede, al cammino della Chiesa oggi.
Essere discepoli di Cristo vuol dire anzitutto essere dinamici e imparare a darsi da fare per il regno di Dio che viene. Si può essere incerti e nel dubbio per tante cose nella vita, ma non lo si può essere per il regno di Dio.
Il Signore non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo: ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti, in tutti c’è qualcosa di uguale: la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi, Dio ha speranza in noi! E questo è lo stesso per tutti.
fabio (venerdì, 17 novembre 2017 12:51)
Allora non è il timore di essere giudicati che ci deve guidare nel cammino, ma la gioia dei tanti talenti che abbiamo intorno a noi… Dio per primo che in tanti modi si fa presente rispettando appieno
la nostra libertà… la vocazione a vivere pienamente da uomini e donne nel matrimonio, nella vita religiosa, nella vita sacerdotale, nell'essere fecondamente single… cominciando a realizzare e gustare
già qui e ora il bello di esserci e di essere con… per… in…
Pregustando una realizzazione piena...
Tuttalpiù con la paura di non accorgerci di quello che siamo e abbiamo.
mirko (giovedì, 16 novembre 2017 16:52)
quando mai si è sentito che un padrone consegni i suoi beni ai suoi servi?
Dio invece lo fa! Ci ha consegnato il Suo mondo, ci ha consegnato il Suo Figlio.
E noi? siamo stati in grado oltre che di custodirlo, di farlo crescere e fruttificare almeno dentro la nostra vita? E' in questo che al Suo ritorno il Padre ci giudicherà.
Comincio a rispondere alla Parola che il Signore mi ha rivolto.
Padre mio,
io mi abbandono a te,
fa di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me
ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto.
La tua volontà si compia in me,
in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio.
Affido l'anima mia alle tue mani,
te la dono mio Dio,
con tutto l'amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è un bisogno del mio amore
di donarmi,
di pormi nelle tue mani senza riserve
con infinita fiducia
perché Tu sei mio Padre.
(Charles de Foucauld)
fabio (venerdì, 17 novembre 2017 12:51)
metto nelle tue mani la mia ostinata inutilità, solo tu puoi renderla feconda e dinamica. con infinita fiducia. amen
mirko (giovedì, 16 novembre 2017 16:46)
mandaci Signore il tuo Santo Spirito
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fabio (venerdì, 17 novembre 2017 12:51)
prendi parte alla gioia del tuo padrone
mirko (giovedì, 16 novembre 2017 16:46)
chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni